UNA PAROLA PER MILLE MUSICHE

La parola di gennaio: TRADIZIONE

Prossimo appuntamento: sabato 30 gennaio

Spesso quando parliamo di tradizioni intendiamo un insieme di costumi, abitudini o regole prestabilito, talvolta statico e consacrato con miti e favole che guida il nostro approccio o meglio la nostra visione delle cose. Una visione che cerca la sua legittimità e autenticità nella nostalgica memoria collettiva di un passato non sempre ben documentato dimenticando che le migliori tradizioni, in realtà, non sono che il frutto di un lungo e faticoso processo critico e creativo radicato nel proprio contesto socio-culturale, politico ed economico. Nel panorama delle tradizioni musicali europee degli ultimi secoli la Scuola musicale napoletana è, senza dubbio, un esempio brillante di quello che potremmo definire un prolifico laboratorio di tradizione e innovazione in costante divenire.

Dal XVI secolo in poi Napoli è un punto di riferimento in Europa per lo sviluppo delle arti, in particolare della musica. Nel Cinquecento la città partenopea vide l’apertura di ben quattro Conservatori, e successivamente, nella prima metà del Seicento, di importanti teatri facendola diventare la Capitale della musica in Europa tra il XVII e il XVIII secolo. I conservatori cittadini furono importanti strumenti di sviluppo di un’articolata tradizione operistica locale e garantirono, nel tempo, il cambio generazionale e il continuo fiorire di compositori, librettisti, cantanti e strumentisti che permisero alla città di mantenere un livello qualitativo particolarmente elevato. Il termine Scuola musicale napoletana o Opera napoletana, perciò, identifica una specifica scuola di teatro musicale sviluppatasi lungo un arco di oltre cinque secoli, dalla prima metà del Cinquecento fino al primo Novecento.

Gaspare Traversi, Lezioni di musica

L’Opera Napoletana e gli aspetti storici e stilistici

L’Opera fu introdotta a Napoli a metà del Seicento, quando il vicerè spagnolo chiamò da Roma la compagnia teatrale dei Febi Armonici, che allestirono la Didone di Cavalli, e successivamente l’Incoronazione di Poppea di Monteverdi. Il Teatro di San Bartolomeo fu aperto nel 1654 e le opere venziane venivano rimaneggiate secondo il gusto napoletano da Francesco Cirillo, tenore della Compagnia dei Febi Armonici. Quella che riconosciamo, invece, come l’opera napoletana trova radici nell’attività didattica del maestro Francesco Durante (1684-1755), che ebbe tra i suoi allievi generazioni di operisti tra gli altri, Pergolesi, Jommelli, Traetta, Piccinni, Paisiello, Sacchini.

Le opere napoletane hanno un ritmo e uno stile scorrevole e moderno, con un predominio assoluto della parte vocale, per esaltare le capacità del cantante. I compositori ricercano una piacevolezza melodica e uno stile che rifletta il senso delle parole, per portare alla commozione dell’ascoltatore. Il dinamismo agogico, il crescendo e diminuendo, cominciano a essere sempre più presenti e indicati nelle partiture.

Alla fine del Seicento, il recitativo diviene l’espressione musicale predominante e pressoché esclusiva nel tessuto di collegamento tra le varie arie e lo sviluppo dell’azione scenica. Nell’opera napoletana settecentesca si consolida un recitativo dall’andamento scorrevole e grazie ad Alessandro Scarlatti (1660 – 1725) viene introdotto, oltre al recitativo secco, cioè accompagnato dal solo clavicembalo, anche il recitativo accompagnato o obbligato, vale a dire accompagnato da più strumenti o dall’intera orchestra. Con Scarlatti, il melodramma acquisisce, nelle aperture, la cosiddetta forma sinfonica tripartita e in chiusura di ogni atto, solitamente, i pezzi d’insieme, definiti concertati. Scarlatti, inoltre, utilizza nelle arie uno schema definito aria col da capo data dalla forma A-B-A. Tra le sue opere si ricordano Gli equivoci del sembiante, Tutto il male non vien per nuocere, nella quale per la prima volta applica l’apertura tripartita detta anche scarlattiana, Il trionfo dell’onore, che fu la sua prima opera comica, Attilio Regolo, dove introduceva anche forme di ballo.

Ritratto di Domenico Scarlatti (1685 – 1757)

La nascita dell'opera comica

Tra le più importanti invenzioni della Scuola napoletana, vi è quella dell’opera comica. Questa, diviene nel corso del Settecento un genere a sé stante, non assumendo più il ruolo di intermezzo dell’opera seria, anzi, l’opera comica fatta di storie popolari, divertenti, dal lieto fine e con personaggi burleschi, si pone in realtà in netta contrapposizione all’opera seria.

Sebbene lo stile inizi a svilupparsi già a partire dai primi anni del XVIII secolo, più precisamente con La Cilia (1707) di Michelangelo Faggioli su libretto di Francesco Antonio Tullio, considerata la prima opera comica in assoluto, sarà solo con Il trionfo dell’onore di Alessandro Scarlatti del 1718 che il genere prenderà coscienza di sé. A partire dalla metà dello stesso secolo, con opere quali La serva padrona di Pergolesi (1733), che si afferma come modello base dell’opera buffa, La Cecchina di Piccinni (1759), Il matrimonio segreto di  Cimarosa (1792), e quindi con le grandi opere comiche di Mozart e, più tardi, di Rossini, il nuovo genere raggiungerà la definitiva consacrazione in campo operistico.

L’opera sentimentale o semiseria

Nel secondo Settecento la fioritura dell’opera buffa si contraddistinse nell’incontro della musica napoletana con la poesia veneziana, grazie al commediografo Carlo Goldoni (1707-1793). Goldoni è autore di libretti per intermezzi e drammi giocosi in cui le vicende descritte  diventano caricaturali, mentre i personaggi seri acquisiscono maggiore spazio, e inoltre, a lui va il merito, di avere introdotto nel dramma buffo l’elemento patetico e sentimentale, facendola divenire una commedia lacrimosa. Tema costante dei suoi libretti, è la descrizione del conflitto sociale tra nobili e contadini; un esempio di ciò, è riscontrabile nell’opera Il filosofo di campagna. Nell’Arcadia in Brenta,  invece, Goldoni racconta la commedia nella commedia, ossia un gruppo di attori che si preparano per rappresentare la commedia; entrambe le opere sono state musicate da Baldassare Galuppi (1706-1785).

Gli esponenti

Per secoli la Scuola napoletana attrasse musicisti da tutta Italia ed Europa. Tra i partenopei ricordiamo Domenico Cimarosa, Domenico Scarlatti, Francesco Provenzale, Francesco Durante, Francesco Feo, Niccollò Jommelli. Altri grandi compositori sono annoverati fra i maestri indiscussi di quello che è stato più di un fenomeno culturale europeo destinato a generare un semplice genere musicale. Fra questi ci furono Gioachino Rossini, pesarese di nascita e cittadino del mondo, il palermitano Alessandro Scarlatti, il marchigiano Giovan Battista Pergolesi, il ligure Pasquale Anfossi, il toscano Antonio Sacchini, il calabrese Leonardo Vinci e i pugliesi Tommaso Traetta, Niccolò Piccinni e Leonardo Leo. Tra i librettisti invece spiccano Metastasio, che a Napoli trovò formazione, Andrea Leone Tottola e Vincenzo Torelli. L’opera Il matrimonio segreto di Domenico Cimarosa, nel 1792 conclude il ‘700 napoletano e fu definita da Verdi, come la più completa e la più vera commedia musicale.

Fra il 1750 e il 1800, lo stile comico, che comprendeva l’intermezzo, l’opera buffa, il dramma giocoso e semiserio, divenne il genere di rappresentazione teatrale più diffuso in Italia, raccogliendo consensi anche in Europa. Gli enciclopedisti francesi, ne apprezzavano la semplicità, contrapposta alla statica e geometrica teatralità dell’opera seria. Molti compositori prenderanno spunto anche da romanzi inglesi e francesi; Paisiello e Mozart  con Il barbiere di Siviglia e Le nozze di Figaro si ispirarono alla trilogia di Caron de Beaumarchais. Persino Rousseau compose un opera conforme ai principi dell’opera buffa italiana, L’indovino del villaggio.

Napoli nell’Ottocento era uno dei massimi centri operistici europei e la principale scuola musicale italiana. La Scuola napoletana esaurì la sua forza propulsiva soltanto ai primi del Novecento, imponendosi quindi come una delle più longeve nella storia musicale d’Italia; un centro di formazione, di produzione e di innovazione, considerato oggi, Tradizione.

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