Nato in una famiglia di musicisti, Balázs Dolfin ha iniziato a suonare il violoncello all’età di 4 anni. Nel 2010, è stato ammesso al Dipartimento per gli studenti eccezionali dell’Accademia di musica Liszt di Budapest e di lì una serie sorprendentemente lunga, vista la giovane età, di riconoscimenti ed esperienze anche all’estero.

 Balázs ha tre fratelli e tutti e quattro suonano. Il secondogenito è un fagottista di successo ed ha avuto da poco il suo primo incarico presso la Bayerische Staatsoper; poichè anche Balázs è recentemente entrato a far parte della Bayerische Rundfunk Sinfonieorchester, entrambi i fratelli si sono ritrovati nella capitale bavarese presso prestigiose istituzioni musicali. 

 

In questi giorni Balázs si trova in Toscana, in vista dei concerti del fine settimana, assieme alla Filharmonie. In questa occasione ne abbiamo approfittato per fargli qualche domanda.

AF: Anna Farkas
BD: Balázs Dolfin

 

AF: Quali sfide percepisci nella tua vita da giovane musicista?
BD: Quello che talvolta mi preoccupa è che c’è un’offerta enorme di buoni musicisti. Ci sono tantissimi violoncellisti bravi e trovare la mia voce tra di loro è una grande sfida. Tra i violoncellisti c’è una particolare evoluzione ed il livello negli ultimi anni si è alzato: tante cose che cinquant’ anni fa erano considerate sfide tecniche ardue, ormai non si percepiscono più come tali. Per esempio, ora già a 10 anni si suonano opere che anni fa erano da considerarsi repertorio di musicisti esperti. Quindi la sfida è cercare di dare sempre di più ed aspirare a distinguersi anche tra i più grandi virtuosi. 

 

AF: È stata una sfida per te spostarsi dall’Ungheria?
BD: Non direi, anzi, mi si è aperto un panorama musicale più ampio, lasciando un orizzonte ristretto e piccolo – quello dell’Ungheria – dove però il livello, e dunque la competizione, è altissimo. All’estero vedo che i musicisti ungheresi sono molto apprezzati e vengono tenuti in grande considerazione. Pensiamo ai nomi internazionalmente affermati di István Várdai, Ditta Rohmann, Kristóf Baráti, Barnabás Kelemen, Katalin Kokas.  

Al momento vedo come una sfida, o almeno un obiettivo da pormi, anche la possibilitá di crearmi un giro di contatti: solitamente da un concerto nasce un contatto, dal quale nasce un altro concerto e così via. Tutto ciò è utile perchè, se voglio fare il solista, ho bisogno di esperienze concertistiche continue, che sono tappe formative importanti: non basta studiare a casa, anche se lo fai per otto ore al giorno, c’è bisogno del riscontro con il pubblico. 

 

AF: Come è nata l’idea di questi due concerti con La Filharmonie? Qual è la tua esperienza musicale in Italia?
BD: In Italia ho fatto principalmente concorsi, anche da bambino: tra questi, il più prestigioso è il  Premio Salieri di Legnano, che ho vinto due volte. Poi è sempre bello viaggiare in Italia… Dunque, la scorsa estate sono tornato con molto entusiasmo al Festival Virtuoso&Belcanto, dove sono poi risultato vincitore. Attraverso quest’esperienza, sono riuscito in seguito a conoscere e prendere contatti con La Filharmonie. 

Balázs Dolfin

AF: Qual è il tuo rapporto con il Concerto per violoncello e orchestra no. 2 in Re maggiore di Joseph Haydn, l’opera che eseguirai venerdì e sabato?
BD: Quest’opera è la perla del repertorio per violoncello, ma è una sfida enorme: il mio rapporto con essa è un po’ di amore e odio.  Però è da brani come questi che può emergere il talento. Si tratta di una musica molto sensibile, che ha bisogno di un controllo enorme per essere eseguita. È sempre commovente poter suonare una musica come questa, ma allo stesso tempo è un impegno enorme tecnicamente. Per riuscire a raggiungere una buona esecuzione,  ci vuole molta esperienza, anche sul palco: più lo esegui, più lo padroneggerai.  Perciò sono molto felice di avere delle occasioni per potermici misurare. Non per ultimo, esibirsi con un’ orchestra con la quale non si è soliti lavorare è sempre un’esperienza bellissima e importante.

 

AF: Qual è il repertorio che più preferisci e che padroneggi di più?
BD: Il romanticismo tedesco e il ventesimo secolo russo. Poi ovviamente anche le Suite o le Sonate da gamba di J. S. Bach per quanto riguarda il barocco. A proposito del barocco, ora per esempio mi sto interessando al problema dell’interpretazione fedele della musica antica e sto per ordinare un arco barocco in Germania. Ritengo interessante ricercare il suono autentico dell’epoca, anche se poi magari si utilizza comunque un violoncello moderno.

 

AF: Hai trovato un approccio diverso alla musica all’estero, rispetto al tuo Paese natale?
BD: Come già detto, in Ungheria c’è un livello altissimo, forse il più alto che ho visto. Andando però in Germania noto che la mentalità è diversa: il talento non è meramente apprezzato, ma le persone, anche i singoli,  hanno più voglia di investirci concretamente. Per ciò che mi riguarda, in ogni caso, sin da giovanissimo, sono stato molto incoraggiato e supportato a Budapest, vincendo importanti borse di studio volte a incrementare la carriera musicale. 

 

AF: Se ti va, raccontaci qualcosa della tua nuova posizione presso la Bayerische Rundfunk Sinfonieorchester.
BD: La grande sorpresa del semestre scorso è stata l’offerta di una posizione presso la  Bayerische Rundfunk Sinfonieorchester per un periodo di tempo limitato (periodo di prova potremmo dire). Ho cominciato veramente da poco, dallo scorso mese di marzo, ma mi piace molto, sto studiando tantissimo. È una tappa importante nella mia vita, perché da un po’ avevo la curiosità di capire come fosse il lavoro in orchestra e come tale impegno potesse essere coniugabile con gli impegni da solista o camerista. Non sono sicurissimo che vorrò avere una carriera interamente da da solista, quindi per la prima volta ho una posizione fissa in un’orchestra, dove posso sperimentare questo nuovo modo di essere musicista, sperando di trovare un equilibrio tra solista-camerista e musicista orchestrale. Inoltre, è un enorme onore per me poter imparare il mestiere dell’orchestrale dai membri di un’orchestra eccellente.

Intervista e traduzione dall’ungherese a cura di Anna Farkas

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