UNA PAROLA PER MILLE MUSICHE

La parola di febbraio: FOLLIA E VISIONI

Prossimo appuntamento: sabato 12 marzo

Le origini del tema musicale della follia, folìa in portoghese, che nell’epoca barocca ebbe la sua maggior fortuna, si perdono tra le tradizioni popolari del tardo Medioevo. Nacque come danza popolare portoghese dal carattere movimentato, allegro e chiassoso, che univa contadini e pastori tra canti e balli in tondo. Il dipinto della Danza dei contadini (1567) di Pieter Bruegel il Vecchio potrebbe aiutare la nostra immaginazione ad avvicinarsi molto alla realtà di queste feste popolari. Il termine stesso, folìa, significa “folle divertimento, baldoria, sollazzo” e descrive bene il carattere originario del tema musicale prima che questo, intorno al XVI secolo, cominciasse ad assumere un tono più severo e maestoso. È quest’ultima la forma che ebbe maggiore longevità grazie, soprattutto, alle elaborazioni che di questo tema musicale cominciarono a fare alcuni compositori spagnoli come Diego Ortiz o Juan del Encina, intorno alla metà del Cinquecento. Questa ‘tarda follia’, per distinguerla dalla primitiva, era stata così codificata in una progressione armonica, che si spostava tra il I, V, III e VII, e in un tema in tempo ternario e in modo minore (solitamente in re) diviso in due parti da quattro battute ciascuna e con l’inizio in battere. Su questa struttura armonica e formale è stata composta la canzone anonima Rodrigo Martinez, conservata nel Cancionero de Palacio (fine XV-XVI sec.), e che risulta essere la testimonianza più antica che possediamo della ‘tarda follia’. Una traccia delle origini rurali della follia si può ancora ritrovare nel testo della canzone citata che parla di tale Rodrigo al quale si raccomanda di occuparsi delle sue oche, delle mucche e dei paperi. 

La ‘tarda follia’ si diffuse ben presto in tutta Europa, assumendo nomi diversi in base alle aree geografiche: in Francia era conosciuta come le Folies d’Espagne (magari adesso vi sovviene alla mente le Folies Bergère di Parigi, il famoso music-hall che ospitò i più svariati spettacoli di varietà durante la Belle èpoque, di cui Toulouse-Lautrec ci ha lasciato i suoi ricordi pittorici, un luogo in cui si volle forse rivivere lo spirito originario della folle danza) e in Inghilterra come Faronell’s ground. 

Danza dei contadini di Pieter Bruegel il Vecchio (1567)

Ma fu con l’entrata nelle forme della musica colta che la follia suggellò la sua definitiva gloria destinata a durare nei secoli. Essa si sarebbe intrecciata con le danze di corte assumendo la forma armonica di una passacaglia, ossia di variazioni su un basso ostinato, e il carattere melodico di una sarabanda, dunque lenta, solenne e in tempo ternario. Sebbene Girolamo Frescobaldi avesse già inserito il tema della follia nelle sue toccate per clavicembalo nel 1637, la tradizione vuole che sia stato Jean Baptiste Lully, nel 1672, a portare per la prima volta alla corte del Re Sole questa antica danza popolare portoghese, facendola eseguire dalla Grand Ecurie, la banda militare della corte. Da qui in poi molti altri musicisti si cimentarono nell’elaborazione di questo tema, affascinati forse dalla sua misteriosa bellezza e dalle illimitate possibilità di variazione. Se ne contano circa centocinquanta ma soltanto pochi fra essi sono rimasti impressi nella memoria storica della musica: primo fra tutti è Arcangelo Corelli, che inserì il tema nella sua sonata per violino op. 5 n. 12, a conclusione della raccolta pubblicata nel 1700. In questo caso, il famoso violinista e compositore, che diede un notevole contributo allo sviluppo della musica strumentale, volle appunto sperimentare il tema della follia con lo strumento principe dell’epoca: il violino. Non è da meno il lavoro di un altro esploratore delle capacità espressive del violino, Antonio Vivaldi, che utilizzò il tema con variazioni nella sonata op. 1 n. 12, collocata nella stessa posizione di quella di Corelli, alla fine della raccolta, pubblicata nel 1705. La sonata di Vivaldi inizia con l’esposizione dell’antico tema da parte dei due violini, a distanza di sesta, e del basso continuo, con il tradizionale ritmo puntato sul secondo tempo della battuta. Finita questa esposizione, seguono venti variazioni che ci portano all’interno di un gioco di imitazioni fra i due violini e di passaggi ritmici tra tempi veloci e lenti, fino alle ultime variazioni nelle quali vi è una progressiva intensificazione ritmica, ottenuta con diversi effetti e accompagnata da crescendo ora a livello timbrico ora orchestrale. 

Cancionero de Palacio

Si ricordano poi, tra i grandi del Barocco che misero in musica il tema della follia, Alessandro Scarlatti, che scrisse le variazioni per il clavicembalo, Marin Marais, che le scrisse per viola da gamba e Johan Sebastian Bach.  Quest’ultimo inserì il tema all’interno della Cantata profana Mer hahn en neue Oberkeet (“Abbiamo un nuovo governatore”) BWV 212, meglio nota come la Cantata dei contadini, composta nel 1742. Il titolo è in omaggio a Carl Heinrich von Dieskau, a cui l’opera è stata dedicata, e il testo della cantata è del poeta e librettista tedesco Christian Friederich Henrici alias Picander. In questo caso, il Maestro di Eisenach ha riproposto il tema della follia ambientata in un’atmosfera di campagna, nei pressi di una taverna, dove una coppia di contadini sta amoreggiando quando arriva un signore, generoso di birra, che ha deciso di alloggiare nel suo castello. L’opera, composta per due voci, soprano e basso, accompagnate da flauto traverso, corno, due violini, viola e continuo, si suddivide in 24 numeri comprendenti l’ouverture iniziale, l’alternanza di recitativi e arie e il coro conclusivo. Questo lavoro fu per Bach l’occasione di attingere a danze e motivi popolari per riproporli secondo la sua eccezionale inventiva musicale. Il tema della danza portoghese è impiegato per l’aria numero otto, sulle parole, tradotte dal tedesco: “Il nostro eccellente, / Caro Ciambellano / È un grande amico / Che nessuno può biasimare”. La melodia maestosa e il ritmo convinto della follia riescono perfettamente a tradurre in musica la descrizione.

Articolo di Felicita Pacini

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