Prossimo appuntamento: 9 luglio

Nel corrente anno 2022 festeggiamo i cento anni della nascita di Pier Paolo Pasolini, una delle figure più interessanti della cultura italiana. Sono numerosissimi gli eventi e le mostre che concorrono a commemorare il genio eclettico di Pasolini, uomo impegnato sui più vari fronti culturali: girò numerosi film e scrisse testi per il cinema, creò disegni e fece traduzioni letterarie di poesie e di pezzi teatrali. Scrisse numerose poesie ma non manca nemmeno la narrativa. Inoltre, essendo Pasolini interessato alla filologia e alla teoria estetica – stimolato dal celebre storico d’arte Roberto Longhi all’università di Bologna – Pier Paolo Pasolini ci lascia in eredità anche una grande produzione saggistica. 

Nel vasto ventaglio di interessi dell’artista non abbiamo citato ancora la musica; ma chiaramente questa sarà oggetto principale di questo articolo. Per indagare il rapporto del poeta con la musica dobbiamo cominciare proprio da uno dei suddetti saggi, intitolato Studi sullo stile di Bach che risale agli anni 1944-1945. Lo scritto rimase a lungo inedito e fu pubblicato solo nel 1999 dalla Mondadori nel volume Saggi sulla letteratura e sull’arte. Il saggio nasce dunque durante la guerra, quando il giovane studioso è costretto a lasciare gli studi e la fervida vita culturale di Bologna per rifugiarsi a Casarsa, in Friuli. La decisione di aprire una scuola gratuita nella propria casa assieme alla mamma dà l’occasione al giovane Pasolini non solo di rifugiarsi nello studio e nella cultura dalla cupezza della guerra, ma anche di conoscere una giovane violinista, Pina Kalc. La ragazza, legata anche da un sentimento amoroso al giovane maestro, introduce così Pasolini all’arte musicale di Johann Sebastian Bach. Nonostante Pasolini volesse provare anche a studiare il violino, egli non ebbe molta pazienza per le seccature dello studio di uno strumento, e alla fine finì sempre a chiedere a Pina – „che suona meravigliosamente Bach” – di eseguire per lui qualcosa dalle sonate di violino del Kantor. Sì, perché sono proprio le Sei sonate per violino KWV 1014-1019 che divengono per Pasolini i pilastri del suo rapporto con Bach. Così egli scrive all’inizio del saggio: 

E confesso senz’altro che non solo conosco rozzamente la biografia di Bach, ma ben poco il suo tempo, […]. E questo sarebbe ancora nulla in confronto alla mia quasi assoluta ignoranza di tutta la sua opera musicale, eccettuate le sei sonate per violino solo, che io conosco limitatamente alla mia capacità di conoscer musica, cioè alla mia capacità di esprimere criticamente quel poco che capisco.

Queste frasi sono ben più di un’affermazione di umiltà dell’autore, perché ci informano sul suo modo di intendere il fascino della musica. Cerchiamo, dunque, di districare cos’è la musica, questa ‘materia immateriale’ e informe, per Pasolini. Egli ricerca un contatto immediato con quest’arte dove c’è poco spazio per un’inchiesta razionale e ben strutturata sullo stile; infatti il poeta così continua: «Che non esista una lingua critica per la musica è una constatazione scoraggiante per chi si accinge a parlare nientedimeno che dello “stile” di un musicista»

La musica non può dunque essere ‘capita razionalmente’ ed è anche priva di contenuto. Ed è in queste considerazioni che dobbiamo riconoscere in Pasolini un raffinato intellettuale, perché egli è capace di toccare i più grandi temi che sin da secoli sono stati al centro del dibattito estetico intorno alla musica. L’arte dei suoni è stata spesso vista come un’arte inferiore, sulla quale è impossibile articolare un discorso (di questa opinione è Kant e in parte Hegel, che però riconosce alla musica di essere l’arte più affine alla soggettività dello Spirito vista la sua immaterialità e sviluppo nel tempo); inoltre, anche il dibattito sulla capacità della musica di rappresentare (darstellen) un contenuto o meno ha una tradizione lunga sin da Eduard Hanslick fino ad oggi. Riportiamo una citazione da Poeta delle ceneri (1966/67) per poter sottolineare un altro tratto decisivo delle considerazioni pasoliniane attorno alla musica: 

«Ebbene, ti confiderò, prima di lasciarti,
che io vorrei essere scrittore di musica,
vivere con degli strumenti dentro la torre di Viterbo
[…]
e lì comporre musica
l’unica azione espressiva
forse, alta, e indefinibile come le azioni della realtà».

Il fatto di ritenere la musica l’unica arte che ci permette la diretta conoscenza della realtà chiama in causa Schopenhauer, come nota anche la studiosa Claudia Calabrese: «La musica è metafisica perché rappresenta immediatamente l’immagine della volontà, della cosa in sé ed è quindi differente da ogni altra arte, da ogni altra fisica del mondo che esprime la realtà solo come apparente». Per questo anche Pasolini vuole diventare scrittore di musica, per poter entrare direttamente in rapporto con la Cosa, per poter rappresentare la realtà senza filtri e senza necessità di passare da una logica razionale. Egli vuole lasciar parlare direttamente questa arte che porta in sé una antica forza dionisiaca, quasi distruttiva, per dirla con Nietzsche (La nascita della tragedia).

L’interesse per Bach è presente, come attestato dal saggio che abbiamo citato, già dall’età giovanissima dell’autore e proseguirà costantemente lungo il suo intero percorso produttivo. È rintracciabile principalmente nella realizzazione cinematografica, dove la musica di Bach funge da colonna sonora in alcuni dei suoi film più importanti (Accattone, Il vangelo secondo Matteo, Sequenza del fiore di carta, Salò e le 120 giornate di Sodoma). Vale la pena di sottolineare che, chiaramente, l’applicazione di una data musica a una data pellicola è dettata da scelte artistiche ponderate: e quindi anche Pasolini – seguendo una buona tradizione dei più grandi registi o compositori per fim (come Hans Eisler o Sergej M. Ejsenstein) – scrive un saggio dal titolo La musica nel film dove affronta le difficoltà di abbinare le due arti. 

Anche noi, nello spettacolo dell’11 luglio, seguiremo la via dell’accostare tra loro diverse arti: ascolteremo la musica di Bach, o a lui ispirata, abbinata agli scritti e alle poesie di Pasolini. In questo pastiche alla Pasolini lo spettatore si potrà abbandonare alle parole dello scrittore che spaziano tra le più variegate tematiche, in sinergia con il suono che le accompagna, capace di aprire nuovi squarci conoscitivi.

Perché, per dirla con Pasolini, «prima il silenzio, poi il suono e la parola. Ma un suono e una parola che siano gli unici che ci portino nel cuore del discorso».

Articolo di Anna Farkas

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