UNA PAROLA PER MILLE MUSICHE

La parola di marzo e aprile: FOLLIA E VISIONI

Prossimo appuntamento: sabato 16 aprile

«Chi è stato aggredito dalla mescalina, chi, divenuto improvvisamente impotente, in mille cose, ha assistito a tali colpi di scena della mente dopo i quali tutto in lui è cambiato, chi, in maniera privilegiata, s’è trovato presente al proprio sbandamento e al proprio sconnettersi e alla propria dissoluzione, ora sa che è come se fosse nato una seconda volta». Queste sono le parole di Henry Michaux (1899-1984), lo scrittore belga le cui opere approfondiscono le sue sperimentazioni con droghe come la mescalina e l’LSD. Aggiungiamo così al corollario di stati visionari al limite della pazzia, affrontati nei precedenti articoli, il tema della mente offuscata dagli stupefacenti

Già dall’epoca del Romanticismo, in particolare con Coleridge e De Quincy nella letteratura, lo stato onirico provocato dall’oppio diviene territorio per la creazione artistica. L’LSD e altre droghe, con conseguenze sociali e sanitarie gravi, saranno di uso comune anche tra gli artisti degli anni ’60-’70 del Novecento. Abbiamo introdotto nella nostra argomentazione gli stati psichici provocati dalla droga per volgere lo sguardo all’attività di un compositore scomparso di recente, che ha conciliato la sua ricerca musicale di matrice colta con il mondo della musica underground e psichedelica. 

Fausto Romitelli (1963-2004) nasce a Gorizia e, nonostante la sua breve attività, è stato uno dei compositori più interessanti del panorama musicale contemporaneo. Egli ha studiato prima con Franco Donatoni a Milano per poi specializzarsi con Gerard Grisey all’Ircam di Parigi – cuore della musica contemporanea e centro di ricerca della musica elettronica colta e della composizione assistita con il computer. Attraverso questa esperienza Romitelli si è aggiornato sulle pratiche musicali più recenti degli anni ’80, in particolare della musica spettrale, del quale il maestro Grisey è fondatore. Ciò che è al cuore della poetica di Romitelli è la volontà di integrare nel mondo sonoro ‘colto’ – dai suoni puliti, limpidi e strutturati secondo la mente del compositore ‘organizzatore’ – i suoni delle altre realtà musicali ‘leggere’. Usiamo qui le categorie di ‘colto’ e ‘leggero’ tra virgolette, perché alla fine di questo articolo, attraverso proprio la poetica di Romitelli, vedremo quanto queste siano riduttive e quanto le due possano influenzarsi positivamente.

Quale esempio migliore delle nuove pratiche musicali che vengono a crearsi negli anni ’60, e che cambieranno per sempre il nostro immaginario sonoro, se non l’esecuzione dell’inno americano a Woodstock di Jimi Hendrix nel 1969? La chitarra distorta, amplificata diventa il simbolo e l’ideale sonoro della musica di tanti gruppi giovanili, accomunati tutti dalla protesta sociale in risposta alla guerra in Vietnam, al conformismo americano e dal malessere sociale. Per loro il ‘bel suono’, proprio della cultura occidentale ‘colta’, diviene l’emblema di un perbenismo da evitare e a cui sfuggire; il suono viene così portato al suo eccesso, alla sua saturazione e distorsione.  L’elettronica, con effetti quali delay e riverbero, insieme agli strumenti elettrificati divengono centrali in questo nuovo panorama e vediamo il crearsi di nuovo generi espressamente elettronici quali il tecno, di cui massimo esponente, in quei primi anni è sicuramente Aphex Twin.

 

Questi nuovi effetti resi possibili dall’elettronica, dalle amplificazioni ed impiegati da gruppi come i Pink Floyd, Led Zeppellin e The Beatles, pongono una grossa sfida alla ricerca musicale accademica, la quale – nonostante si fosse interrogata sull’impiego di suoni extramusicali già a partire dai futuristi con “l’Arte dei Rumori” di Luigi Russolo – non è stata capace fino ad allora di integrare il rumore in un linguaggio coerente e funzionale. Questo è il sogno di Fausto Romitelli: integrare nella sua opera il ‘suono parassitario’ (saturo, distorto) nell’immaginario della musica accademica. A suo parere «i compositori si devono sporcare le mani, devono uscire dal confortabile ghetto della musica colta contemporanea per confrontarsi con tutto l’universo sonoro che li circonda», sferrando così una critica ai compositori «chiusi nelle loro supposte torri d’avorio».

Ritornando al tema degli stupefacenti e al modo peculiare di sentire la realtà attraverso la loro assunzione, altro argomento al centro della poetica di Romitelli è la percezione. La musica, per il compositore, deve essere una costante ricerca di uno scarto con la realtà e con le abitudini consuete della quotidianità; essa deve far emergere le situazioni al limite della percezione. Questa è la motivazione che sta a fondo del suo interesse per i testi L’infini turbulent, Miserable miracle, Connaissance par les gouffres del sopracitato Henry Michaux, nei quali lo scrittore approfondisce la sua esperienza con la mescalina. I testi di Michaux hanno ispirato il ciclo romitelliano intitolato Professor Bad Trip, composta dai tre movimenti, Lesson I., II, III.

“L’indagine sui meccanismi percettivi degli stati allucinatori è diventata il mezzo per una fuga lontano dall’arcadia del suono colto, pulito e ben vestito di intenzioni ma senza corpo, né carne, né sangue (…); nei territori della mescalina l’educazione e il buon gusto sono assenti.»

 

L’immaginario sonoro di Romitelli è simile alle apparizioni e alle metamorfosi delle cose in uno stato alterato. Entrando nel suo universo ci perdiamo tra varie sensazioni ed è proprio questo lo scopo del compositore che dichiara che «la musica è, innanzi tutto, l’insieme delle reazioni fisiologiche del corpo». L’effetto voluto di una musica enigmatica è così perfettamente raggiunto. Professor Bad Trip è scritto per un ensemble composto in parte da strumenti acustici tradizionali e in parte da strumenti elettrificati quali tastiere e chitarra: ecco che avviene la contaminazione con il mondo pop-rock. Ciò è integrato anche dall’uso dell’elettronica (solo in Lesson1) e dalle distorsioni e un pedale wah-wah applicati al violoncello; inoltre, come spesso in altre opere del compositore, egli impiega anche il kazoo, l’armonica e il diapason a bocca. La sintesi o ‘fusione strumentale’ raggiunta, concetti cari ai maestri spettralisti di Romitelli, è di enorme complessità: ascoltando non siamo più capaci di decifrare come il sound raggiunto sia stato creato. Il fine principale da raggiungere per Romitelli sarà proprio quello di comporre il suono – possibilmente granuloso e violento, dunque vivo –  in contrapposizione al ‘comporre con il suono’.  

L’aggettivo con il quale meglio potremmo descrivere l’ideale sonoro di Romitelli è ‘ibrido’: un suono fuori da tutte le convenzioni. Come dice il compositore stesso: «se c’è un pericolo che questa musica intende evitare, è quello dell’omologazione o, nei suoi termini, della ‘macdonaldizzazione’ dell’ascolto». In questa presa di posizione, che evita ad ogni costo il feticcio e ci mette a stretto confronto con la realtà sonora e sociale dell’attualità, si può cogliere una vena di critica sociale francofortese; siamo costantemente alla ricerca di una musica che apra la mente all’immaginazione, «mostrandoci che l’idea di perseguire il degrado è anche l’idea di portare i nostri sensi al confine fra allucinazione e realtà».

Articolo di Anna Farkas

#1parolax1000musiche

I nostri consigli di ascolto a portata di un click

Su Youtube

La cultura vive grazie a te: fai una donazione per sostenere il nostro lavoro.

Dona qui
ti è piaciuto l'articolo?

Iscriviti alla newsletter per continuare a seguirci