UNA PAROLA PER MILLE MUSICHE

Prossimo appuntamento: sabato 29 maggio

Un Soldato torna a casa per una licenza, il Diavolo lo blandisce e gli sottrae il violino in cambio di un libro che realizza ogni desiderio. Tre giorni di sogni fatti realtà, solo tre giorni, ma quando il Soldato, senza il violino, arriva a casa, sono passati tre anni e la sua donna si è sposata. A che serve il denaro senza affetti? Tornato povero, il Soldato riprende la strada del profugo, arriva nella terra governata da un re la cui figlia, malata, sposerà chi riuscirà a guarirla. Il Soldato ha di nuovo il suo violino, riconquistato al Diavolo con vodka e astuzia. La Principessa è sedotta, danza un tango, un valzer e un ragtime, e cade fra le sue braccia. Sembra l’epilogo bello di una fiaba. Ma quando i due giovani si metteranno in strada per raggiungere la patria del Soldato, il Diavolo li aspetterà all’incrocio del destino per riprendersi violino e anima, e al Soldato non resterà che seguirlo a capo chino.

Questa la trama dell’opera da camera composta da Stravinskij nel 1918 su testo dell’amico Charles-Ferdinand Ramuz. É evidente un’osmosi tra i tratti biografici, autobiografici, storici ed estetici che si sommano nella gestazione di questo lavoro dalla forma peculiare e le innumerevoli esplorazioni che ne hanno indagato le concause confermano il suo successo duraturo. In fondo – come ha suggerito il regista Peter Sellars – L’histoire du Soldat è l’opera di un profugo sul tema dell’essere profughi. Questo tema, tristemente attuale, nasce dall’esigenza di due esuli: un compositore espropriato in Russia di tutti i suoi averi e che vede esaurirsi il flusso dei diritti dei primi folgoranti capolavori – L’oiseau de feu (1910), Petrushka (1911), Le sacre du Printemps (1912) – e uno scrittore autoesiliato nella propria terra, quella terra che ha forgiato il suo stile spesso ruvido e aspro. Ramuz viveva nel villaggio di Treytorrens e aveva incontrato per la prima volta Stravinsky alla stazione di Epesses, portatovi in treno da Ernest Ansermet. La collaborazione cominciò con la traduzione francese di Renard, proseguì con i testi di canzoni, sfociò in amicizia vera e culminò con la versione francese di Les Noce.

 

 

“revisione” della notazione, strumentazione e formazione di set up del percussionista William Kraft (Fig.1)

“revisione” della notazione, strumentazione e formazione di set up del percussionista James Blade (Fig.2)

«Ho concepito la prima idea dell’Histoire du Soldat nella primavera del 1917 – racconta Stravinsky – ma non ho potuto approfondire quell’argomento perché intento alla stesura de Les Noces e a realizzare un poema sinfonico da Le Rossignol. Il pensiero di comporre uno spettacolo drammatico per un teatro ambulante m’era venuta parecchie volte alla mente fin dall’inizio della Prima Guerra Mondiale. Il genere di lavoro cui pensavo doveva esigere un organico di esecutori semplice e modesto al punto da permettere una serie di allestimenti in una tournée nelle piccole cittadine svizzere, ed essere altrettanto chiaro nel suo intreccio in modo che se ne afferrasse facilmente il senso. Il soggetto mi venne dalla lettura di quella novella di Afanasiev che racconta del soldato e del diavolo […] soltanto lo schema del lavoro è da attribuirsi ad Afanasiev e a me, perché il testo definitivo è opera di Ramuz, mio grande amico e collaboratore, a fianco del quale lavorai attentamente, traducendogli riga dopo riga il mio testo».

Il primo nucleo dell’Histoire è questo, e i Souvenirs sur Igor Stravinsky di Ramuz confermano la versione. Lo spettacolo doveva essere povero, portatile: «Un piccolo palco montato su una piattaforma – si legge nelle istruzioni alla prima rappresentazione di Losanna, il 28 settembre del ’18 -. Uno sgabello (o un barile) ai due, lati. Su uno degli sgabelli siede il Narratore di fronte a un tavolino sul quale ci sono una caraffa di vino bianco e un bicchiere. L’orchestra è sul lato opposto del palcoscenico». Ma piccolezza non significava già più scarso respiro: con L’Histoire du Soldat si compie il salto definitivo in quell’estetica contemporanea che archivia l’orchestra come più alto grado della santificazione strumentale, aprendo lo sguardo a formazioni, timbri e stilemi che iniziano a guardare oltre oceano.

La visione artistica si fonde con l’esigenza di narrare e di trasfigurare un periodo difficile nella vita degli autori, travolti insieme al mondo intero travolto da episodi violenti di misura globale e necessità impellenti di mera sopravvivenza. 

Ebbe ‘la prima esecuzione assoluta’ non nella piazza di un villaggio ma all’Opéra di Losanna, un’elegante sala con palchi e gallerie nel settembre 1918, a guerra terminata. Destino volle che una delle idee che hanno reso celebre e garantito il successo duraturo e pressoché permanete all’histoire, ovvero quella di essere allestita in un vagone o baraccone viaggiante, sia stata superata a favore dal tradizionale luogo dedicato agli spettacoli colti. 

L’histoire è un lavoro che apre un solco nel “Novecento storico”: l’abbandono delle opere post-romantiche e veriste con enormi organici ed il ritorno all’opera da salotto della Camerata Bardi. Il musicologo Giovanni Gavazzeni ricorda un altro aspetto importante de L’Histoire: è il lavoro con cui Stravinskij effettua una sbalorditiva virata dal periodo russo alla poetica neoclassica, e approderà alla dodecafonia sempre con un’altra operina. È la visione che preconizza una forma e una struttura che muove dal passato ma si piega e trasforma alla luce di esigenze pratiche. Anche Britten dopo la seconda guerra mondiale si rivolse – a causa delle sempre maggiori difficoltà di allestimento di opere tradizionali – a forme più “snelle”, preconizzando crescenti restrizioni economiche e l’aumento di offerta in altri settori (cinema, televisione, viaggi). Per azzardare un parallelo con il mondo della cinematografia, possiamo vedere L’histoire come la ‘visione’ di un regista che produce una serie, o la puntata pilota di una serie, invece di un film o un lungometraggio. Dunque trama ed esigenze biografiche unite ad un ‘formato’ pratico che hanno reso – se possibile – ancor più spontaneo riproporre questa peculiare opera da camera, che unisce esecutori e spettatori in una sorta di esperienza catartica. 

«La scelta degli strumenti per L’Histoire fu influenzata da un importantissimo evento della mia vita in quel periodo: la scoperta del jazz americano… L’organico si richiama a quello della banda jazz in quanto ogni famiglia strumentale – archi, legni, ottoni, percussioni – è rappresentata dai suoi estremi, nel registro acuto e nel registro basso. Inoltre gli stessi strumenti venivano impiegati nella musica jazz, eccetto il fagotto, che, secondo me, stava per il sassofono». Le parole di Stravinskij ci riportano la grande attrazione che il compositore vede nascere per gli strumenti e gli idiomi della musica d’oltreoceano, ma nel 1918 dove poteva aver ascoltato musica jazz?

 «La conoscenza che io avevo del jazz – ammette Stravinsky – derivava soltanto da letture occasionali di fogli pentagrammati di questa musica. Non avendo mai potuto ascoltare il jazz improvvisato o suonato dal vivo, ero però in grado di assimilarne lo stile ritmico, così com’era scritto pur se non come veniva eseguito. Ero in grado di immaginarmi il suono del jazz, comunque, o almeno mi compiacevo di pensarlo. Il jazz significava comunque un insieme di sonorità del tutto nuove nella mia musica, e L’Histoire segna la mia definitiva rottura con la produzione della scuola sinfonica russa».

Ricchezza timbrica che si fonde con contrasti e misurati cluster tonali, con un gioco contrappuntistico e dialettico che mostra una notevole combinazione musicale.

Compaiono sovrapposizioni accordali (spesso maggiore/minore), accostamenti accordali di triadi congiunte discendenti, scale per toni interi (anche incomplete o leggermente variate), il tutto inserito in un séguito di pezzi chiusi (“Marcia del soldato”, “Pastorale”, eccetera) alla base dell’idea di Suite. 

Per  ciò che  concerne i ritmi nelle parti singole, ci troviamo di fronte ad incredibili successioni  di tempi inusuali oppure, come avviene molto spesso, Stravinskij costruisce complesse poliritmie creando un perfetto incastro fra tutti gli strumenti. Ed è questo il punto in cui la nostra curiosità continua ad essere mossa, ad oltre un secolo dalla nascita della composizione: senza la pretesa di addentrarci nell’analisi musicale, indichiamo due tappe simboliche della spinta creativa e di ricerca suscitate dalla musica dell’histoire per le percussioni. Riportiamo le riproduzioni grafiche della disposizione del set percussivo secondo la visione di due strumentisti: quella di William Kraft (Fig.1), che nel 1963, dopo aver ricevuto delucidazioni e spiegazioni dallo stesso Stravinskij, decise di pubblicare la sua “revisione” della notazione, strumentazione e formazione di set up da lui stesso ideata e concepita da percussionista. Aggiunse, sotto approvazione dello stesso Stravinskij l’hi-hat come “colore caratteristico” nella Marcia reale e nella Marcia trionfale del diavolo.

Nel 1987 James Blades (Fig.2) altro percussionista, pubblica la sua versione di set up, notazione e strumentazione della storia del soldato.

L’Histoire du Soldat può essere descritta come il perfetto compimento di una commistione di stili e timbri, carico di scanzonata ironia tipica del mondo circense o – appunto – jazzistico, elaborato attraverso il raffinato procedimento di scomposizione tipico di Stravinskij. Concludiamo l’articolo suggerendo una breve riflessione sull’opera di Dario Fo, durante un’intervista rilasciata in occasione dell’allestimento per il teatro Ponchielli il 18 novembre 1978, produzione che gli era stata affidata dal teatro alla Scala.

https://www.raicultura.it/musica/articoli/2021/03/LHistoire-du-soldat-secondo-Dario-Fo-50d830a8-ae00-401e-8e95-399049fe8458.html

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