UNA PAROLA PER MILLE MUSICHE

MUSICA IN PANDEMIA

Prossimo appuntamento: sabato 8 maggio

Negli ultimi articoli abbiamo affrontato l’argomento peculiare degli stati mentali alterati che interrompono la normale quotidianità dell’io; perché non interrogarci, oltre che sui particolari stati d’animo di grandi persone del passato, anche sulla nostra realtà, una realtà fortemente trasformata dalle complesse dinamiche politiche, sociali, oltre che sanitarie, dovute alla pandemia da Covid-19? La pandemia ha portato radicali trasformazioni nelle nostre vite e vale la pena osservare questi anche per ciò che concerne il mondo sonoro. Per procedere in questa direzione sarà utile richiamare il concetto di paesaggio o ambiente sonoro

Gli studi riguardanti quest’ultimo hanno ormai una lunga tradizione; il musicologo canadese Raymond Murray Schaffer conia il termine paesaggio sonoro nel 1977 con il suo libro intitolato The Soundscape. Per paesaggio o ambiente sonoro si intende la totalità di eventi sonori che avvengono nello spazio o nell’ambiente dove viviamo e, come vedremo in questo articolo, il mondo sonoro che viene a crearsi da questo insieme di rumori o suoni influenza fortemente il nostro modo di vivere un determinato spazio. Di quale spazio si può parlare? Dello spazio privato della casa o dello spazio urbano pubblico e condiviso – condiviso almeno in tempi normali – ma anche dello spazio naturale. L’apparizione di questo argomento interdisciplinare negli ultimi decenni ha influenzato vari campi del sapere, dalla sociologia all’architettura, oltre a diventare un campo d’interesse per la creatività artistica, soprattutto dando uno stimolo importante alla musica elettroacustica (pensiamo ad opere quali Presque Rien no. 1. di Luc Ferrari). La riflessione sul mondo sonoro che ci circonda, e che abbiamo visto improvvisamente cambiare, è entrata improvvisamente anche nell’opinione pubblica durante l’ultimo periodo pandemico. Ne hanno scritto quotidiani e ne abbiamo sentito parlare spesso in televisione; il cambiamento drammatico del primo lockdown della primavera scorsa ha sicuramente scosso l’esperienza quotidiana di tutti: chi non ha sofferto dell’improvviso silenzio che si è imposto nel primo periodo di confinamento? 

I cambiamenti legati alla sfera auditiva che hanno investito in tempo di pandemia non solo le pratiche musicali ma anche il paesaggio sonoro sono stati affrontati nell’arco della conferenza Sounds of the Pandemic, tenutasi online nel mese di dicembre 2020 (per il programma completo: https://soundsofthepandemic.wordpress.com). Il convegno è stato un primo esito di Come suona la Toscana, progetto etnomusicologico dell’unità di ricerca guidata dal Prof. Maurizio Agamennone presso l’Università di Firenze, nel quadro di un più ampio PRIN (Progetto di Rilevante Interesse Nazionale) finanziato dal MUR. Proprio nel modo in cui questo progetto accomuna vari campi del sapere musicologico ed etnomusicologico per poter far emergere un quadro dettagliato del nostro spazio di esistenza qui in Toscana, allo stesso modo il convegno Suoni della Pandemia si è caratterizzato per l’approccio multidisciplinare grazie alla presenza di studiosi provenienti da tre continenti. Abbiamo approfondito l’argomento visionando i filmati relativi alle tre keynote (reperibili sulla pagina Facebook di Come suona la Toscana) che hanno introdotto altrettante sessioni della conferenza. Dopo un colloquio con Antonella Dicuonzo e Daniele Palma – parte del comitato scientifico del convegno – cercheremo di riportare alcuni dei concetti chiave emersi nelle due giornate.

Il paesaggio Sonoro (1977) – Raymond Murray Schafer

Tutti noi siamo accomunati dall’aver esperito delle condizioni particolari durante il confinamento nella primavera del 2020. Cominciamo la nostra riflessione attorno al tanto ribadito concetto di silenzio che si è creato durante questo periodo. Certamente non si tratta di un silenzio totale, ma di un silenzio nel quale i punti di riferimento del paesaggio sonoro quotidiano spariscono. Numerosi progetti e ricerche hanno approfondito questo cambiamento, soprattutto per quel che riguarda le città, ambienti solitamente ricchi di suoni che, per ovvi motivi, si sono modificati cambiando così anche il volto delle nostre città. Si segnala qui il progetto The Sound Outside, presentato durante Sounds of the Pandemic, nel corso del quale sono state raccolte 112 tracce provenienti da città ‘silenziate’ di 47 paesi diversi. I soundscape raccolti fanno da ritratto delle città nella particolare situazione vissuta e allo stesso tempo divengono ogetti d’arte, ritoccati secondo la creatività dei sound designer. [maggiori informazioni: all’indirizzo: https://www.soundesign.info/2020/03/28/the-sound-outside/].

Laura Tedeschini Lalli, docente ordinario di Matematica all’Università Roma Tre, riflettendo sul silenzio sottolinea la sua funzione di avvertimento: silenzio significa rottura con la continuità, proprio come è accaduto nella nostra vita, e questo improvviso cambio di rotta necessariamente richiama la nostra attenzione e ci rende più sensibili all’ascolto. Il gruppo di ricerca della facoltà di Architettura di Roma Tre, guidato dalla professoressa Tedeschini Lalli, ha realizzato una ricerca sul modo in cui è cambiata la percezione di eventi sonori durante il lockdown: il caso di studio riguarda la Fontana di Trevi e come il suono dell’acqua si propagasse diversamente nel periodo di confinamento, mostrando come esso si percepisse entro un raggio molto più ampio del solito essendo l’ambiente sonoro spoglio di altri suoni che ne limitavano il propagarsi (il traffico e le voci dei numerosi turisti). Oltre ad un discorso fisico sull’irradiarsi del suono, la studiosa sottolinea ancora che anche il nostro ascolto e il nostro livello di attenzione cambiato contribuiscono ad una nuova percezione di eventi sonori, in realtà presenti anche prima nel panorama cittadino: è l’esempio delle cicale, certamente sempre presenti a Roma, il cui suono era diventato per gli intervistati quasi fastidioso durante il confinamento, mentre prima passava inosservato e assorbito da altri rumori. 

Il fatto che l’ambiente sonoro intorno a noi sia mutato può essere visto anche dal punto di vista della geografia sociale urbana. In questo solco, l’intervento di Nicola Di Croce mette in evidenza il concetto di atmosfera urbana e il concetto di suono come affetto. Il suono è capace di influenzare le persone e le relazioni che esse intessono con i propri simili e con lo spazio che le circonda: oltre a essere ricco di informazioni e a essere punto di orientamento spaziale, il suono dell’atmosfera urbana ha anche la capacità di suscitare stati d’animo, di farci vivere emozioni. Possiamo pensare forse alla prima passeggiata che abbiamo fatto dopo il lockdown, tornando nelle piazze che prima vivevamo tutti i giorni e ripopolandole di suoni. Il paesaggio sonoro può così avere anche una ‘tonalità affettiva’ che si deposita nella nostra memoria. 

 

Si tratta, dunque, anche di un attaccamento affettivo alla nostra realtà quotidiana che abbiamo visto venire meno e che in varie misure abbiamo cercato tutti di sostituire con diverse pratiche. Emerge qui un altro concetto chiave che è la memoria, il cui ruolo è chiaramente connesso al bisogno di colmare un vuoto. E’ il vuoto creatosi sia con il silenziarsi di molti suoni a cui eravamo abituati, sia con l’assenza della socialità, quindi con il venire meno di determinati contesti, eventi attraverso i quali avevamo la possibilità di vivere gli spazi a noi cari. La seconda giornata della conferenza, dedicata alle investigazioni nel campo delle pratiche musicali, mette in luce proprio come il fare musica sia cambiato al mutare delle condizioni in cui attori e fruitori di musica prima operavano. La ricerca dell’etnomusicologa Fulvia Caruso mette particolarmente in evidenza, attraverso interviste e questionari, come la memoria affettiva di riti e ricorrenze, quali il pellegrinaggio alla Santissima Trinità di Vallepietra, siano stati importanti per un sentimento condiviso di gran parte della popolazione e proprio per questo si sia avvertito il bisogno di recuperarli attraverso l’utilizzo di varie piattaforme, eventi sul web. Tra le dinamiche di compensazione emerse di fronte all’improvvisa assenza dei suoni della quotidianità, anche gli applausi e i canti sui balconi possono essere riletti come azioni volte a un parziale recupero di socialità in un momento di confinamento: la musica e il canto diventano uno strumento per ripopolare acusticamente i nostri spazi

Di memoria parla anche Theodoros Lotis, il quale, riflettendo sul cambiamento del paesaggio sonoro che lo circonda – caratterizzato per l’appunto dalla sparizione dei rumori connessi all’operato dell’uomo e dal riemergere della natura – parla della nostra memoria latente e della sua capacità di ri-riconoscere tutta l’atmosfera naturale. Il compositore fa l’esempio del canto del merlo, non del tutto distinguibile e percepibile prima perché assorbito dal suono della società industrializzata. Ciò che avviene è un cambiamento qualitativo dell’ascolto nel quale emergono, secondo Lotis attraverso la nostra memoria latente, i suoni prima impercettibili e dimenticati della natura; numerosi studi e ricerche hanno indagato il modo nel quale il mondo animale ha avvertito l’improvviso silenzio del mondo umano ed abbia potuto riacquistare i suoi spazi, anche acusticamente.

Questa visione a, che vede il silenziarsi dei suoni prodotti dall’uomo dal punto di vista del loro impatto ambientale, è stata però messa in discussione da altri studiosi. Makis Solomos spiega che l’ecologia non va pensata solo biologicamente, ma anche in termini sociali e psicologici, cioè in modo che essa sia sensibile anche alle questioni politiche-sociali: con il confinamento non sono stati messi a tacere solo i rumori nocivi della civiltà industrializzata, ma anche le nostre voci, specialmente quelle delle manifestazioni e degli scioperi. Ci mette in allarme sul non considerare la sparizione del suono antropogenico come un armonioso ritorno alla natura: perché dovremmo addomesticare le nostre voci che ci rappresentano in quanto esseri umani? Per Solomos non è l’operato dell’uomo sulla natura, cioè l’Antropocene, ad essere nocivo in sé all’ambiente, ma il particolare modo di sfruttamento della terra, dettato dai poteri economici del capitalismo. Per esprimere questo ultimo concetto Solomos riprende il termine Capitalocene, coniato dallo storico Jason W. Moore. In questa prospettiva, Solomos riflette anche sulle nuove pratiche performative affermatesi durante la pandemia, come i concerti in streaming che, secondo lo studioso, oltre a degradare la musica ad una mera funzione consolatrice si iscriverebbero in una relazione di potere-dominio capitalista a causa dell’utilizzo delle varie piattaforme delle grandi aziende, impostosi ora con ancor più forza. 

In conclusione, ciò su cui ci fanno riflettere iniziative come Sounds of the Pandemic è quanto il suono, in tutte le sue declinazioni, divenga giorno per giorno traccia del nostro vissuto. Ci auguriamo che l’interesse per le tematiche relative al paesaggio sonoro durante la pandemia, ma anche ai processi relativi alle modificazioni delle pratiche musicali così come ai grandi temi della memoria e dell’affettività dei suoni che popolano i nostri luoghi, possa diventare uno strumento cosciente e attivo nel modo di relazionarci con gli altri e col mondo. Questa prospettiva, del resto, mette in evidenza un approccio all’universo sonoro da lungo delineato e sognato in campo musicale; tra tanti, John Cage, realizzando l’opera intitolata 4’33’’, in fondo ha voluto comunicare che il silenzio – che non significa assenza di eventi – può diventare occasione di un ascolto qualitativo ed attento e, allo stesso tempo, strumento di indagine e di riflessione sull’ambiente in cui viviamo.

Articolo di Anna Farkas

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Vuoi approfondire il tema di oggi?

qui sotto trovate alcuni link utili per scoprire di più sul paesaggio sonoro di questi ultimi mesi

Come Suona la Toscana

Il suono degli uccelli durante la pandemia: https://calpolynews.calpoly.edu/news_releases/2020/september/birds

Il suono del mare durante la pandemia: https://www.nbcnews.com/news/world/coronavirus-pandemic-slowdown-has-made-oceans-quieter-which-has-been-n1262175

 

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