Prossimo appuntamento: 8 gennaio

Non molti giorni fa ho ascoltato un concerto presso la Wigmore Hall di Londra dove veniva eseguito un programma interamente dedicato ai lieder di Brahms.

Con il baritono Christian Gerhaher accompagnato dal pianista Gerold Huber, il programma prevedeva lieder appartenenti a varie fasi della produzione del compositore amburghese, dalla giovinezza fino agli ultimi anni di vita. Tra tutti questi, la mia attenzione è stata conquistata da un ciclo di quattro canti, l’op. 121 del catalogo. In questo articolo non pretendo di fornire un’esauriente lettura musicale degli Vier ernste, mi propongo piuttosto di far emergere – almeno me lo auguro – nei lettori la voglia di ascoltare queste quattro piccole perle musicali.

“Guarda che bel regalo mi sono fatto per il compleanno”, scriveva Brahms a proposito dei suoi “quattro canti seri” che aveva terminato nel giorno del suo sessantatreesimo compleanno, il 7 maggio 1896. Egli, buon lettore, e conoscitore anche della Bibbia, aveva scelto dei passi dal testo di Lutero e poi li aveva tradotti in “canti ‘seri’, cupi, dolorosi come la sua terra d’origine ma con un fondo di rassegnazione fiduciosa”. I primi tre brani, tratti dall’Antico Testamento, sono stati selezionati in modo da strutturare un vero e proprio inno alla morte, ma, a partire già dal terzo brano, l’atmosfera si rischiara, fino a lasciare il posto all’ultimo dei Gesäng che, con le famose parole di San Paolo ai Corinzi, libera le anime da ogni angoscia.

Brahms, scegliendo le parole dell’Apostolo “noi ora vediamo come in uno specchio, in modo oscuro; ma poi vedremo faccia a faccia […]” (1Corinzi 13,8-12) assieme all’inno alla carità, con il primato attribuito a quest’ultima (“ma di tutte più grande è la carità” 1Corinzi 13,13) sulle altre virtù teologali, dimostra la sua intenzione di raggiungere una più grande e intrinseca unità comune a tutti e quattro i canti.

È interessante notare come l’autore non abbia chiamato i suoi lavori “canti spirituali” o “canti biblici” ma “canti seri”. Dunque, Brahms aveva ben chiaro che questi canti per voce sola avrebbero potuto avere anche una risonanza in una dimensione amplificata, sinfonica, nella misura in cui affrontano questioni che riguardano tutti gli esseri umani, come la morte e l’eternità. Era tanto convinto della profondità di tali argomenti che scriveva in una lettera al suo editore: “Ti accorgerai che questi Gesänge non sono un gioco, al contrario sono maledettamente seri e al tempo stesso così empi che la polizia stessa potrebbe anche proibirli … se le parole non fossero tratte dalla Bibbia”.

Potremmo pure affermare che questi Gesänge, in quanto tesi a sfidare, negandolo, l’irretimento dell’attività umana dentro al solo senso percettivo, si accostano idealmente a grandi testi musicali del ‘trascendente’, come le Passioni bachiane e la nona Sinfonia di Beethoven. Del resto, lo stesso Brahms, intorno ai trentatré anni, aveva dialogato, personalmente e in profondità, con la morte scrivendo il Ein Deutches Requiem (op. 45, 1866-68), opera, anche questa, posta sotto la dolce ermeneutica della consolazione.

Non a caso, alcuni critici musicali hanno voluto leggere nell’opus 121 un testamento spirituale dell’Autore, che sarebbe morto poco dopo, nell’aprile 1897; altri invece hanno pensato a questa composizione come a un ultimo saluto all’amica pianista Clara Schumann spentasi proprio in quei giorni.

Johannes Brahms

Addentriamoci adesso un po’ di più in questi lieder, riguardo ai quali il pianista svizzero Walter Rehberg afferma che “nel loro altissimo raccoglimento spirituale rappresentano la sintesi dell’intera opera e della vita di Brahms”.

Il primo canto, Denn es gehet dem Menschen (Quello che capita all’uomo), è severo e austero, strutturato in due parti: Andante e Allegro. Qui è interessante l’utilizzo da parte di Brahms di una trasformazione modale che, sulla scia di Beethoven, lo porta verso possibilità espressive inedite. Si tratta dalla frase conclusiva del primo lied, Denn wer will ihn dahin bringen, daß er sehe, was nach ihm geschehen wird?(Chi infatti mai potrà mostrargli  ciò che sarà dopo di lui?), che corrisponde al passaggio dal ¾ a 9/4. L’ascoltatore può sentire un graduale cambiamento, introdotto dal trillo del pianoforte, verso il modo dorico (batt. 94, Si naturale) che passa poi al Re minore, dove il Si naturale lascia risuonare i pensieri legati a quest’ultima domanda attraverso una sonorità arcaica sostenuta anche dal trillo tra Re e La, una quinta aperta.

Il secondo canto, Ich wandte mich und sahe (Mi voltavo e vedevo),è più dolce e umano; il dolore sembra qui raggiungere una rarefazione spirituale e timbrica. Di questo brano vorrei mettere in evidenza un piccolo particolare, dietro al quale però, si cela un attento e profondo studio del testo da parte del compositore. Si tratta di una pausa musicale utilizzata con un risvolto drammatico. Appena dopo le parole Da lobte ich die Toten, die schon gestorben waren,mehr als die Lebendigen, die noch das Leben hatten;und der noch nicht ist (Allora lodai i morti, già scomparsi, più dei vivi che ancora erano in vita; e chi non è ancora) Brahms inserisce una battuta intera di pausa sia per la voce che per il pianoforte e, solo dopo questo momento di silenzio immobile, conclude con i versi ist besser als alle beide, und der Bösen nicht inne wird, das unter der Sonne geschieht (è più felice di entrambi, ignora il male che accade sotto il sole).

Il terzo canto dell’op. 121, dal titolo “O Tod, wie bitter bist du” (O morte quanto sei amara)

Il terzo canto, O Tod, wie bitter bist du (O morte quanto sei amara), è celebrato da tutti per la sua bellezza espressiva. È costituito da due parti in antitesi: l’episodio iniziale presenta una dimensione minacciosa della morte, soprattutto per l’uomo troppo attaccato ai beni terreni; mentre segue un dolcissimo episodio, dedicato all’idea della morte “dolce”, intesa come riposo e librazione. Brahms era capace di portare avanti le sue idee attraverso le variazioni tematiche e, in questo modo, poteva creare all’interno di un canto e di un ciclo intero dei collegamenti quasi invisibili. Ne è un esempio la seconda strofa del terzo canto, wie wohl tust, che è l’inversione del motivo della prima strofa.

L’ultimo canto, Wenn ich mit Menschen (Se io con gli uomini), è un brano traboccante di bontà e speranza. Vi trionfa l’idea della consolazione cristiana ai dolori dell’umanità, attraverso la fede, la speranza e, soprattutto, la carità.

Concludo con una citazione del musicologo Arnold Whittal, che mi pare ritragga bene il percorso che Brahms ci ha voluto far fare e che si accordi anche con i migliori auguri di buon Natale:

Questa composizione non è irrimediabilmente cupa e meditativa. Dopo aver affrontato l’oscurità, progredisce dal buio alla luce, dalla morte alla redenzione, dall’estinzione alla rinascita. Il messaggio insegna che la morte – anche per chi è debole e senza speranza – è la sola via per ottenere la piena consapevolezza e per capire che l’amore è il sentimento più forte, l’esperienza più bella per un essere umano.

Articolo di Felicita Pacini

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