Prossimo appuntamento: 29 gennaio

Nel corso del Novecento la città di Firenze è stata un importante punto di riferimento nella scena musicale contemporanea. Nel capoluogo toscano, in passato, si sono susseguite prime nazionali di compositori del calibro di Arnold Schönberg e Béla Bartók. Questo fermento artistico nel corso del tempo si è ridotto a pochi autori contemporanei e meno appuntamenti dedicati alla scena contemporanea. A maggior ragione va sottolineata l’importanza della prima esecuzione italiana del compositore svedese Anders Hillborg, che presenteremo al pubblico con le sue Variazioni Kongsgaard

veduta della città di Firenze

Il maestro Anders Hillborg è uno dei compositori contemporanei più acclamati: le sue opere vengono eseguite da importanti orchestre come la Chicago Symphony Orchestra, la Los Angeles Philharmonic e la Philharmonie Berlin e la sua collaborazione con il celebre direttore d’orchestra Esa-Pekka Salonen lo ha ulteriormente portato all’attenzione internazionale. Uomo di salde convinzioni artistiche, dalle quali non si lascia allontanare, condivide l’artigianalità e il rispetto per la tecnica degli antichi maestri. Non a caso sottolinea spesso l’importanza del contrappunto, per lui ancora oggi strumento imprescindibile per chiunque si avvicini allo studio della composizione. D’altra parte, Hillborg è un compositore squisitamente contemporaneo. 

Approfondendo la musica elettronica alla Royal Academy of Music di Stoccolma esce dalla concezione convenzionale della musica nella quale il compositore era fino ad allora cresciuto – come afferma egli stesso in varie interviste – e così scopre come qualsiasi suono possa essere considerato materiale musicale. Inoltre, le varie tecniche dell’analisi del suono apprese in laboratorio gli permettono di scoprire la costruzione interna, fisica del suono. Pensiamo qui alle armonie spettrali o alla possibilità dello studio della “vita interna del suono” e dei suoi attacchi transitori. Anche lo stesso modo di concepire l’orchestra come un beast sampler (mostro campionatore) è una concezione legata alle nuove tecnologie. Con questo termine, usato dallo stesso Hillborg, ci si riferisce alla possibilità di creare tessiture orchestrali insolite, nelle quali il suono del singolo strumento è irriconoscibile. In questa gestione del materiale il modello è il campionatore e di fatto il risultato è assimilabile a un suono sintetico, nonostante sia acustico, vale a dire prodotto da un’orchestra sinfonica. 

L’uso di questa tecnica, chiamata già sintesi strumentale da Gérard Grisey, avvicina Hillborg ai metodi compositivi della scuola spettralista francese con la quale condivide anche l’interesse per la processualità del suono. Altri gesti strumentali invece, come l’effetto del veloce scorrimento dell’arco che ci fa percepire la nota quasi al contrario (attack e release scambiati), evocano i quartetti di Salvatore Sciarrino e Helmut Lachenmann. Tuttavia, è importante sottolineare come Hillborg non si leghi ad alcuna “scuola compositiva” particolare e mantenga sempre viva la passione per la musicalità, libero da pregiudizi.

Per esempio, l’interesse per i processi lenti, nei quali il quasi impercettibile trasformarsi del suono ci porta in sempre nuove tessiture sonore, in Hillborg è dettato dall’interesse per  l’energia del suono puro e non da un approccio scientifico. L’esempio a cui guarda è l’essenzialismo di Ligeti e l’influenza del maestro è nettamente percepibile nella scrittura per fasce sonore del compositore svedese. Hillborg ammetterà di trovare una certa difficoltà nella scrittura delle parti più movimentate e di preferire, dunque, la scrittura in tempi lenti. Questa caratteristica è in parte legata ai riferimenti a Ligeti e in parte, forse, a una certa predilezione – presente anche nel gusto scandinavo e nelle opere di J. Sibelius – per le atmosfere statiche.

Per gli elementi sopra elencati è chiaro quanto la tecnica compositiva di Hillborg sia pienamente aggiornata sulle conquiste tecniche degli ultimi decenni. Del resto, però, guarda con un certo sospetto a qualsiasi pensiero compositivo rigido – prende sin dall’inizio netta distanza dalla scuola post-darmstadtiana – e rimane sempre aperto ad altri generi musicali come il pop o la musica per film. Il genere pop fa parte della sua vita sin da giovanissimo perché da teenager, come lui stesso racconta con una certa ilarità, faceva parte di un ‘pessimo’ gruppo pop dove suonava la tastiera. Non mancano, inoltre, i riferimenti ai grandi classici con i quali non smette mai di confrontarsi, da Mozart a Stravinskij, le cui battute sono nascoste a mo’ di citazione in alcune sue opere, passando per Bach, presente fin dal titolo nel suo Bach Materia

Il maestro Anders Hillborg all’opera.
Ph. Giorgio Fanelli

Anche le Variazioni Kongsgaard, l’opera che sentiremo a Firenze fra qualche settimana, hanno come riferimento un grande classico: Ludwig van Beethoven. Diversamente dal più sperimentale Concerto per Violoncello (2020), l’opera presenta una scrittura dalla maggiore riconoscibilità. Il lavoro, originariamente per quartetto d’archi, fu commissionato da John Kongsgaard, che chiese a Hillborg di scrivere un brano sull’Arietta dell’ultima sonata per pianoforte (Op. 111) di Beethoven.

L’arietta, nell’originale opera beethoveniana, è il tema del secondo movimento. Il movimento presenta la forma della variazione, forma prediletta da Beethoven, che pur prendendosi grandi libertà nella trasformazione del tema iniziale non modifica l’impianto formale, scandito tradizionalmente dal susseguirsi delle singole variazioni. Hillborg invece predilige le forme fluide, che gli permettono di passare da un elemento musicale all’altro: non per caso la sua musica è già stata definita organica per la linearità con la quale da un processo sonoro sboccia in maniera naturale un nuovo elemento. 

La forma della variazione, dunque, sarà del tutto rivisitata da Anders Hillborg che, col suo stile personalissimo, ci conduce in un viaggio sonoro pieno di suggestioni dove troviamo vari espedienti, dall’elemento folk al corale, da contrappunti echeggianti sonorità barocche fino alla concreta citazione dell’arietta di Beethoven. Nel suggestivo mondo sonoro del compositore scandinavo troviamo tessiture sonore forse insolite, nelle quali, tuttavia, il nostro orecchio è sempre capace di ritrovare elementi melodici ascrivibili alla grande tradizione musicale del passato. Ciò è vero specialmente nel caso di questa composizione, scritta originariamente nel 2006 per un insieme classico quale il quartetto d’archi, e che il pubblico fiorentino potrà ascoltare nella recentissima versione per orchestra d’archi. 

Articolo di Anna Farkas

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