Prossimo appuntamento: sabato 23 ottobre

Alla vigilia del suo novantesimo compleanno, il 19 settembre scorso, scompare Sylvano Bussotti, artista poliedrico fiorentino e figura importantissima nella scena italiana della nuova musica del secondo Novecento. Bussotti comincia gli studi musicali come violinista ma presto si interessa alla composizione. Nel Conservatorio Luigi Cherubini studia con Roberto Lupi e Luigi Dallapiccola. Con quest’ultimo egli si avvicina alla dodecafonia nella quale si cimenterà solo per i primi anni giovanili, assieme ad altri giovani compositori fiorentini allievi di Dallapiccola, riuniti poi nella Schola Fiorentina (Reginald Smith Brindle, Alvaro Company, Bruno Bartolozzi, Carlo Prosperi, Arrigo Benvenuti). 

Ben presto però si allontana da questa corrente. Paradossalmente proprio l’esperienza alle Ferienkursen di Darmstadt – i corsi estivi in Germania sulla nuova musica dove dal 1946 si riunivano i più importanti compositori di avanguardia da tutto il mondo – segnerà questa rottura con «l’ordine dei dodici eterni», come soleva indicare ironicamente Bussotti la serialità. Egli a Darmstadt viene a contatto con la musica di Boulez e quindi con le prime teorizzazioni del serialismo integrale, che però il compositore fiorentino percepisce come corrente musicale troppo intellettualistica, speculativa. 

Nonostante per Bussotti l’esperienza darmstadtiana, non segni, dunque, un suo sposalizio con nessuna scuola coeva ed egli ammetta che «Darmstadt sia stato molto meno di quanto si racconti», sicuramente la sua presenza ai corsi estivi ha reso possibile uno degli incontri più decisivi per la sua poetica: l’incontro con John Cage. Bussotti, che rimane affascinato dalla filosofia del compositore americano, la quale sembra finalmente offrire una strada alternativa, è incoraggiato anche dal critico musicale Heinz Klaus Metzger ad intraprendere con fermezza la strada dell’aserialismo.

 

 

Cathy Berberian e Sylvano Bussotti

Ci sono particolarmente due aspetti della musica di Bussotti che lo avvicinano al pensiero di Cage. Uno è sicuramente l’aleatorietà delle composizioni. La corrente alea viene istituzionalizzata appunto da Cage – per quanto delle prime sperimentazioni siano già state fatte nella prima metà del Novecento da Lourié, Cowell, Ives – ed è caratterizzata dall’indeterminatezza, o dalla ‘casualità organizzata’ delle composizioni. L’indeterminazione può avvenire a vari livelli: il compositore può indicare le altezze precise ma senza ritmo, o delle altezze approssimative; altre volte, come nel caso del Klavierstück XI di Stockhausen l’interprete è libero di muoversi tra frammenti o cellule musicali, collegandoli a suo piacere fino a spingersi al celebre 4’33 di Cage. Come coglie Umberto Eco nel suo saggio Opera aperta, questa corrente inaugura un atteggiamento rivoluzionario verso le opere, concepite non più come chiuse e definite ma, appunto, aperte e capaci di sollecitare l’interprete a intervenire sul materiale musicale divenendo egli stesso co-compositore. In un secondo momento, con esperienze quali gli happenings dei gruppi della nuova avanguardia, l’indeterminazione dell’opera dipenderà anche dall’intervento auspicato del pubblico. 

Il secondo aspetto vicino a Cage è il carattere gestuale della musica di Bussotti, in piena opposizione con le convinzioni post-weberniane sopra ricordate. Da un lato possiamo intendere la gestualità come utilizzo di un materiale musicale sempre riconoscibile, umanizzato – il grande spazio che occupano le opere vocali nell’opus del compositore testimoniano dello stesso – sul quale si sente ancora l’influenza di reminiscenze di musiche del passato, tra le quali quelle di Puccini, Berg e Mahler, il compositore preferito di Bussotti. La gestualità si manifesta anche nella notazione grafica di Bussotti, il quale sperimenta l’impiego del disegno nelle partiture. 

Il giovane Bussotti si appassiona al disegno grazie allo zio pittore e la passione per le arti figurative si tramuterà anche nel suo interesse per le scenografie e i costumi. Il disegno diventa però una vera e propria modalità di scrittura musicale, dove nei ‘quadri musicali’ del compositore i segni grafici assumono anche valori acustici. Bussotti racconta come in quei primi anni Sessanta, grazie all’uso della carta trasparente, avesse cominciato a trasportare disegni sul pentagramma per capire come si potesse «tradurre i segni grafici in informazioni di frequenze, in note come si direbbe volgarmente». Quest’ultima espressione di Bussotti ci lascia intendere che la grafia indica la maggior parte delle volte dei gesti musicali intesi in senso più ampio delle note: rumori e altri effetti raggiunti con le tecniche estese.  Il segno grafico rimane però spesso indeterminato – in congruenza con la poetica dell’alea – lasciando così grande margine d’inventiva a colui che deve eseguire le musiche di Bussotti: pagine affascinanti, caratterizzate da un segno che si infittisce sempre di più, ricordando quadri barocchi horror vacui – caratteristiche che testimoniano l’eccentrica vorticità della musica di Sylvano.

spartito di Sylvano Bussotti

Della difficoltà nel tramutare in suoni questi quadri incorniciati nel pentagramma raccontano anche gli esecutori dell’opera da camera La Passion selon Sade, opera emblematica della poetica del compositore, anche perché essa è costituita da diversi frammenti di opere preesistenti. Avvicinandoci alLa Passion, e così finalmente parlando di una composizione più da vicino, dobbiamo sottolineare altre due tematiche importanti oltre alla gestualità: il teatro e la sessualità. La Passion è un Gesamtkunstwerk nel quale il compositore scrive indicazioni dettagliate per tutti i dettagli scenici, comprese le luci: tutti gli effetti devono sottolineare l’azione teatrale che, invece di tradursi in drammi o discorsi psicologici, sceglie la strada della pura spettacolarità, caratterizzata da una quasi eccessiva e cruda espressività. L’opera vuole spiazzare il pubblico abbagliandolo con scene edonistiche. 

L’edonismo, la suntuosità è anche sinonimo del piacere sessuale, la cui ricerca – come ricerca di bellezza – è centrale in Bussotti. Il compositore alla domanda postagli su quale sia il suo scrittore preferito risponde: il Marchese de Sade. Quest’ultimo è autore di libri libertini sulla sessualità commista alla violenza e dà origine con il proprio nome al termine ‘sadismo’. L’opera di Bussotti, pur non utilizzando direttamente il testo del marchese, si rifà alla tematica dell’erotismo sadico; non stupisce che l’opera, rappresentata la prima volta nel 1965 abbia creato grande scandalo richiamando l’attenzione anche delle autorità religiosi per il titolo blasfemo che rimandava alla passione di Cristo. 

La prima mondiale del 1965 è memorabile, oltre che per lo scandalo suscitato, anche per la presenza della cantante Cathy Berberian. Non è la prima volta che i due artisti collaborano e questo sodalizio testimonia dell’importanza e del pieno coinvolgimento di Bussotti nel fervore della musica contemporanea italiana, al cui centro si trovava sicuramente la stessa Berberian, Luciano Berio, Bruno Maderna – tra tanti altri. Bussotti però continua a percorrere le sue strade, differenziandosi sia nel gusto che nelle scelte tecniche dagli altri artisti coevi. Al centro della sua attenzione rimane l’estetica del piacere, delle raffinatezze squisite dal gusto barocco e la sua voglia di stupirci. 

 

Articolo di Anna Farkas

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